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IL MEGLIO DI TE

L’auto si è salvata, alla fine. Con solo qualche effetto collaterale per il conto corrente.
Io no. Che ho voluto partire lo stesso, nonostante tre giorni di un mal di gola feroce, autoconvincendomi che stava migliorando. Il risultato è stato un pomeriggio domenicale dirottato verso la guardia medica milanese, faringite + otite acuta = una settimana di antibiotico.
Forse sarebbe comunque finita così lo stesso e almeno non ho perso del tutto il mio seminario di yoga.
Non è dei malanni che volevo parlare, infatti, di quelli, ahimè, a volte si parla pure troppo.
Ma di qualcosa su cui ho avuto modo di riflettere in questo periodo e, in particolare, durante la formazione di questo fine settimana.
Il conflitto, la realizzazione di sé, ciò che ci impedisce di diventare pienamente ciò che siamo (o potenzialmente saremmo), se infiniti ostacoli non ostacolassero il cammino verso il nostro vero io.
L’assoluta maggioranza di quelli che noi chiamiamo “problemi” della nostra esistenza derivano da uno scarto, piccolo o grande (a volte immenso), tra quello che facciamo e quello che vorremmo fare. Tra ciò che siamo diventati e ciò che dovremmo essere.
Il conflitto lacera, ferisce, distrugge, consuma. La vita, per lo più.
La domanda è spontanea: come uscirne? Che fare?
Capita a volte di non vedere soluzioni. Di pensare di non avere scelta. Ma una scelta c’è sempre, anzi, di solito ce ne sono due.
Andarsene da ciò che non ci appartiene e ci fa stare male. O l’esatto contrario: aderire a quella condizione al cento per cento, con tutte le nostre forze, le nostre capacità e il nostro essere: diventare tutt’uno con quella situazione che, magari, quasi magicamente, cambierà trasformandosi in qualcosa di diverso.
Ho ripensato a me, alla vita degli ultimi anni, al mio (ex) lavoro, alla maternità. Le situazioni più drammatiche, nel mentre come negli effetti, sono esattamente state quelle in cui non ho scelto, o meglio, in cui credevo di aver scelto il male minore, una sorta di pacifica via di mezzo, il barcamenarsi cercando di galleggiare in ciò che ci fa stare male: posizione che, nei fatti, ci conduce dritti all’inferno.
Se non puoi andartene resta lì, ma diventa tutt’uno con quella contingenza, non voler essere contemporaneamente altrove. Dai tutto il possibile, l’assoluto meglio di te. Con consapevolezza, accettazione, pace. É la sola via di salvezza.


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